giovedì 12 febbraio 2015

Gli aborigeni, la memoria e lo tsunami del 2004




Dove erano finiti i 300 aborigeni Jarawa, il giorno dopo il grande maremoto di Santo Stefano del 2004 in Indonesia? Questa è la
domanda che si posero gli organi di stampa internazionali appena dopo il disastro, perché si è subito creduto che quelle popolazioni fossero state annientate, a testimonianza di un'evidente, supposta connessione fra l’entità
del danno e il minor grado di sviluppo tecnologico.Nel delirio contemporaneo,l’uomo occidentale è portato a pensare - possedendo un telefono o un televisore - di poter controllare gli elementi naturali. 


Così i 40 Grandi Andamanesi della Strait Island, i 100 Onge delle piccole Andamane, i 250 Shompens della Grande Nicobar o i 250 Sentinelesi di North Sentinel Island  che costituiscono la tribù più primitiva dell’intero pianeta Terra -, sono stati dati per spacciati: del resto, come potevano farcela se vivevano isolati e immersi in un contesto naturale eccessivo?
Eppure a pochi giorni dal più grave maremoto che si ricordi i voli di ricognizione sulle isole riscontrarono diversi sopravvissuti sulle spiagge: erano gli aborigeni che, vivendo d’abitudine nelle zone interne, hanno compreso più di molti occidentali e degli indocinesi come si fa la vera prevenzione.

Non sarà che i “primitivi” vivono solo nell’interno perché conoscono bene l’Oceano? È una verità difficile da ammettere, perché implica - se loro hanno ragione - che qualcun altro si sbaglia nel rapporto con il mare: i Jarawa si sono salvati tutti, tutti salvi gli Onge e i Grandi Andamanesi. Quasi nessun nativo perse la vita per lo tsunami, mentre furono decine di migliaia i morti fra gli occidentali e gli abitanti delle coste.

 Perché?

Chi ha tramandato (oralmente, forse bisogna sottolinearlo) la memoria del pianeta e del mare, sa che le maree quotidiane si contano e quando ce n'è qualcuna fuori tempo, forse è il caso di ritirarsi nell'interno. E, per lo stesso motivo, sa che lungo quelle coste non si deve vivere, casomai pescare o prendere il sole, ma non abitare o dormire. 

Perché lo tsunami non è un fatto raro, come ci è sembrato nel 2004, quando sembravamo scoprirlo per la prima volta. Solo negli ultimi duecento anni, se ne contano alcuni catastrofici,
come nel 1797, nel 1843 e nel 1861, per non parlare di quello del Krakatoa nel 1883. Quegli uomini hanno conservato la memoria della Terra tramandandola a voce, mentre noi la dimenticavamo negli hard-disk dei nostri computer.

Il caso del grande maremoto di Sumatra del 2004 è esemplare. Molti di quei 230.000 morti potevano essere evitati da un sistema d’allerta efficace e da un’educazione responsabile, che ricordasse il rapporto che le popolazioni costiere del Sud-Est asiatico avevano originariamente con la madre Terra. Invece aver affidato alla sola tecnologia il futuro del pianeta non è stato garanzia di successo, anzi: lo tsunami di Santo Stefano del 2004 dimostra che sentirci al sicuro peggiora solo le cose.

Di Mario Tozzi 
tratto da : Consumatori il mensile dei soci coop.

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