martedì 1 luglio 2014

Se l’ape Maia non ronza più

Tempi duri per api, bombi e calabroni. Confusi dallo smog, avvelenati dai pesticidi e affamati da campi senza fiori, gli insetti impollinatori se la passano davvero male nel mondo che abbiamo creato per noi. Un male oscuro sta svuotando gli alveari di mezzo mondo, mettendo a rischio la sopravvivenza di questi preziosi alleati per la nostra sicurezza alimentare.
Già, perché se le api scomparissero dalle campagne, non dovremmo rinunciare solo al miele: decine di raccolti, che dipendono dalla loro impollinazione, svanirebbero dalle nostre tavole. Niente più mandorle, cipolle, asparagi, broccoli, ciliegie, mele e mirtilli, solo per fare qualche esempio.
E così si moltiplicano le ricerche per trovare una spiegazione a questa sempre più preoccupante moria. L’alterazione degli habitat naturali è senz’altro parte in causa. Nei campi dominati da monocolture, i fiori sono ormai così rari che per le api è come sorvolare un deserto. E come se non bastasse, trovare i pochi fiori superstiti è sempre più difficile: uno studio dell’Università di Washington ha appena dimostrato che i gas di scarico dei motori ne confondono il profumo, rendendo la vita ancora più difficile ai poveri impollinatori.
Persino le piantine ornamentali sono una minaccia letale: il Pesticide Research Institute ha scoperto che la metà di quelle vendute negli Stati Uniti per abbellire case e giardini contiene una dose di tossine sufficiente a freddare qualsiasi ape abbia la sventura di imbattersi nei loro fiori.


In effetti, ormai la gran parte degli scienziati punta il dito sui neonicotinoidi, una nuova classe di fitofarmaci. Apparsi in agricoltura negli anni Novanta, sono diecimila volte più potenti del DDT. E a differenza dei concorrenti, che in genere vengono spruzzati sulle piante, i neonicotinoidi sono usati per trattare i semi, cosicché quando la pianta cresce si diffondono in sua ogni parte, dalle radici al polline, esponendo alle tossine una molteplicità di creature.
L’Unione Europea li ha sospesi per tre anni in via precauzionale. Negli Stati Uniti il governo Obama si è limitato a costituire una task force incaricata di sensibilizzare il pubblico americano. Gli interessi in gioco sono enormi: oggi i neonicotinoidi sono gli insetticidi più diffusi al mondo. In Gran Bretagna il colosso dell’agrochimica Syngenta ha chiesto una deroga alla moratoria europea per le coltivazioni di colza, affermando che non ci sono alternative per proteggere i raccolti. Le associazioni ambientaliste ribattono che Syngenta cerca solo una scusa per indebolire la messa al bando voluta dall’Europa e osteggiata dalla Gran Bretagna.
La polemica è scoppiata il giorno dopo che una commissione scientifica internazionale ha concluso che l’elevata tossicità dei neonicotinoidi non solo giustifica interventi restrittivi, ma è così pervasiva e persistente da mettere a rischio la produzione alimentare mondiale. Oltre a essere responsabile del declino degli impollinatori, da cui dipende un quarto dei raccolti, metterebbe infatti a repentaglio gli ecosistemi che sostengono l’agricoltura, minando la fertilità dei suoli e inquinando fiumi, laghi e falde acquifere. Nelle conclusioni si aggiunge pure che – cornuti e mazziati – in barba all’impiego massiccio e ubiquitario dei neonicotinoidi, non c’è straccio di prova che le rese agricole siano davvero aumentate.
Sembra di essere tornati al 1962, quando Rachel Carson svelò la mondo gli effetti tossici del DDT nelle pagine di “Primavera silenziosa”. Oggi come allora discutiamo se quelle stesse tecnologie create per proteggere la nostra alimentazione non finiscano per compromettere gli ecosistemi da cui dipendiamo. Si dice che senza le api all’umanità non resterebbero che quattro anni di vita. È senz’altro un’esagerazione. Ma non c’è dubbio che, senza il loro ronzio, la primavera sarebbe silenziosamente triste e il nostro futuro più povero e affamato.

Di Giancarlo Sturoni “L’Espresso”

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