giovedì 27 gennaio 2011

Oche Venete e Friulane

In realtà scendono dall'Artico russo - siberiano, da qui sono circa 10.000 km.
Sono migliaia di oche tra Lombardelle,Selavatiche e Graniaole, in mezzo anche rari, (per l'Italia) esemplari di Oca Facciabianca e Oca Collorosso. Stanno svernando in parte in Valle Zignago tra Caorle e Bibione e in parte all'Isola della Cona presso la Riserva Naturale Regionale Foce dell'Isonzo. Complimenti all'amico Fabio per questo video.

domenica 23 gennaio 2011

mercoledì 19 gennaio 2011

Qualche buona notizia per gli animali selvatici in Polesine


Di Massimo Benà per il WWF sez. di Rovigo

Nel corso di oltre 25 anni di osservazioni abbiamo registrato qualche successo in ordine alla presenza di animali selvatici presenti in provincia. Ne proponiamo una sintetica rassegna circoscrivendola ad alcuni uccelli di facile riconoscimento nel tentativo di trasmettere quell’entusiasmo che, come appassionati, proviamo ogni qualvolta ci imbattiamo in qualche specie non comune.
Cominciamo con gli Aironi. Verso la metà degli anni ’80 l’Airone cenerino era dato esclusivamente come svernante. In Polesine lo si poteva osservare solo d’inverno ed esclusivamente nell’area deltizia. Nel tempo si è verificata un’espansione sia temporale che spaziale della specie. Oggi l’Airone cenerino è presente tutto l’anno. Non solo. Una colonia nidifica da tempo alle porte della città assieme a Garzette ed Aironi bianchi maggiori. E’ regolare osservare alle porte della città questi grandi volatili che con il loro lento battito di ali si spostano, a qualche decina di metri dal suolo, per recarsi ai terreni di caccia oppure per tornare al nido. A volte può capitare anche di vederli transitare sopra la centrale piazza V. Emanuele. Altri aironi contribuiscono ad impreziosire il nostro Polesine. Fra questi il Guardabuoi. Quello tutto bianco simile ad una Garzetta, ma un po’ più tozzo e con il becco giallo, che si vede nei documentari naturalistici mentre, nelle savane dell’Africa, sosta sulla groppa dei bufali oppure li segue zampettando. Bene, negli anni questa specie si è alquanto diffusa e frequenta ormai regolarmente anche le zone circostanti la città. In questi giorni un individuo di Guardabuoi ha pascolato per diversi giorni in un prato limitrofo alla scuola media di S. Pio X. Il giorno di S. Stefano un altro esemplare sostava tranquillo nel giardino di una casa posta ai piedi dell’Adige in quel di Granzette. Chi scrive ricorda ancora l’emozione provata la prima volta che, nel Delta del Po, ha avvistato il suo primo Guardabuoi. Allora, all’inizio degli anni ‘90, l’osservazione rappresentava un’autentica rarità. Nel tempo la specie ha conosciuto una rapida espansione ed è oggi segnalata un po’ ovunque. Nel Delta ci sono i contingenti più numerosi ma gruppi di diversi individui sono visibili anche in medio ed alto Polesine. Ma il caso forse più eclatante e famoso riguarda un altro trampoliere: il Fenicottero. Famoso perché salito nel 2006 alla ribalta nazionale a causa di avvelenamenti da piombo dovuti all’ingestione di pallini da caccia. Verso la metà degli anni ’90 per poter osservare questa specie occorreva recarsi in Sardegna, presso gli stagni di Cagliari ed Oristano, oppure espatriare in Francia in Camargue. Poi, piano piano, è iniziato qualche avvistamento anche da noi. Nel ’95 un esemplare è rimasto qualche giorno in una zona umida artificiale a Melara. Seguirono, sul finire degli anni ’90, le prime osservazioni nelle valli di Comacchio e, di lì a poco, nel Delta del Po. Valli e lagune del Delta risultarono di gradimento alla specie che qui ha trovato un ambiente ideale per la sosta, il nutrimento e la riproduzione. Come del resto doveva essere visto che in epoca storica il Fenicottero era ben presente anche da noi. Oggi senza recarsi in Camargue o in Sardegna è possibile ammirare tutto l’anno questi stupendi volatili rosa in gruppi che a volte raggiungono le migliaia di individui. Basta recarsi, armati di binocolo o cannocchiale, nelle valli del nostro bel Delta.
Anche nel campo dei rapaci si sono viste positive evoluzioni. Fino a non molti anni addietro i rapaci erano oggetto di attenzioni non proprio amichevoli da parte dei cacciatori. Venivano infatti annoverati fra i cosiddetti “nocivi” in quanto in grado di catturare alcune specie di interesse venatorio. Trovandosi inoltre al vertice della catena alimentare, subivano le negative conseguenze dovute all’accumulo di pesticidi ed antiparassitari utilizzati in agricoltura. Morale, ancora negli anni ’90 l’avvistamento di un rapace era per l’appassionato un evento piuttosto raro. Le cose sono andate un po’ alla volta migliorando. Sicuramente per un atteggiamento più rispettoso da parte dei seguaci di Diana, bisogna dargliene atto. Forse anche per un diminuito utilizzo di pesticidi in agricoltura. Infine per la disponibilità di siti di nidificazione dovuto all’espansione dei corvidi. Spesso infatti i rapaci utilizzano nidi dismessi di cornacchie e gazze per riprodursi. È adesso possibile ammirare il Gheppio mentre batte rapidamente le ali rimanendo fermo sulla verticale a una decina di metri dal suolo in cerca di prede, praticamente in tutta la provincia, da Melara a Pila. Ma capita anche di vedere esemplari di questi piccolo falco svolazzare tranquilli anche in città. Chi scrive ha più volte avvistato il Gheppio in corrispondenza dei giardini Due Torri, in Commenda e a S. Pio X. Una coppia ha addirittura nidificato per due anni consecutivi su un cornicione dell’ITIS F. Viola di Rovigo utilizzando un nido di Tortora dal collare dismesso. Il Gheppio è diventato una presenza costante del nostro territorio tanto da sembrare sin banale. Eppure non era così una decina di anni fa. Il discorso potrebbe soffermarsi su diverse altre specie ma lo spazio è tiranno. Concludiamo allora questa rapida carrellata con una curiosità ed un’interessante avvistamento pre-natalizio. La curiosità riguarda una colonia di pappagallini, specie estranea alla fauna locale, che ha deciso di “metter su casa” (un grosso globo di rami) in alcuni pini domestici presenti in un giardino privato a Pontecchio Polesine. L’avvistamento è invece relativo ad un gruppo di una decina di Cicogne bianche che il 18 dicembre verso le 13 dopo aver sorvolato il quartiere di S. Pio X si è diretto verso Sud all’altezza del ponte dei Forti. Potrebbero far parte del contingente che lo scorso anno ha svernato nel ferrarese e che speriamo, prima o poi, di poter annoverare fra la fauna polesana. Naturalmente non sono tutte rose e fiori, alcune specie sono in difficoltà, ma di questo parleremo in altre occasioni.

Foto 1 Airone cenerino tratta dal web.
Foto 2 Gheppio in posa di caccia detta "spirito santo" autore Eddi Boschetti.

domenica 9 gennaio 2011

UCCIDIAMOLE TUTTE


Fino ad oggi mi sono limitato ad esprimere il mio parere contrario alla caccia con il testo di una famosa vignetta di Vauro che recita più o meno così: “Se proprio vi piace sparare agli uccelli sparate al vostro”. Sono sempre stato democraticamente aperto al dialogo con i “ seguaci di Diana” “amanti della natura” ma da oggi in poi il mio unico pensiero verso questa categoria di persone è: “L’unico cacciatore buono è il cacciatore morto”. Con l’articolo e relative seguenti foto intendo giustificare ( ma anche no!!!) il mio pensiero.

Da "La Gazzetta di Parma del 08 Gennaio 2011"
Era la prima volta che volava nel cielo di Parma. Dopo un lungo viaggio, di almeno 15 mila chilometri, probabilmente dal Mar Glaciale Artico, è stata accolta nella golena del Po a fucilate. Un'oca facciabianca, protetta da tutte le convenzioni internazionali, e non solo perchè in via d'estinzione, è stata trovata morta a Coltaro. Una pagina davvero triste nella storia del nostro territorio. Tant'è che sulla vicenda il consigliere regionale Gabriella Meo sta preparando un'interrogazione: a Parma non era mai capitato che un animale protetto venisse preso a fucilate. E la «cosa» non passerà sotto l'uscio.
L'animale è stato avvistato da un agente della Polizia provinciale, durante un servizio di controllo ambientale faunistico lungo la golena del Po, in un pantano. «Purtroppo - racconta Daniele Ghillani, vice comandante della Polizia provinciale - era impossibile raggiungere la zona, ma già con il binocolo l'agente aveva individuato le caratteristiche dell'oca facciabianca». Immediatamente sono stati allertati gli uomini della Lipu, che grazie a Massimo Gibertoni e a Stefano Barborini di Legambiente Aironi del Po sono riusciti a recuperare l'animale. «Una brutta esperienza - confessa Gibertoni -. Il recupero non è stato facile, ma ci siamo riusciti e l'abbiamo portata a casa. A una prima occhiata non c'erano segni di impallinamento, ma poi le lastre hanno confermato che l'animale è morto a colpi di fucile».
Ben otto. E c'è di più: l'esemplare potrebbe non essere l'unico ad aver fatto quella tragica fine: «Soltanto una settimana fa - continua Massimo Gibertoni - 12 oche facciabianca erano state avvistate nell'oasi Lipu di Torrile ed era stata una bellissima scoperta, per cui la nostra paura è che altri uccelli siano stati cacciati. La prima sensazione è quella quindi di pena e al tempo stesso rabbia. E' evidente che si debba escludere l'errore: non è possibile confondere un'oca facciabianca da un altro uccello. Possiamo solo constatare, in una zona per di più da caccia per appostamenti, è che ci sia stata la volontà di sparare. E, in tanti anni di servizio, è la prima volta che mi capita un'esperienza del genere».
La prima volta anche per il vice comandante Ghillani: «Sì, fortunatamente non era mai successo prima - sottolinea -: l'episodio più grave che mi sia mai capitato. Il cacciatore in questione rischia una denuncia penale. I reati venatori sono punibili con sanzioni che, in questo caso, arrivano a diverse migliaia di euro. Nel caso poi di animali particolarmente protetti, come l'orso, il cigno o il lupo, è previsto anche l'arresto».
L'animale è stato portato dagli uomini della Lipu nello studio veterinario Lidia Ferdani, dove sono state eseguite le lastre, che hanno confermato la presenza di otto pallini da fucile da caccia. «Lunedì consegnerò un'interrogazione in Regione - annuncia il Consigliere regionale Gabriella Meo - per chiedere più controlli, affinché vengano rispettate le regole. Se Parma ambisce a stare in Europa deve comportarsi in modo tale. Trovo incredibile che un esemplare così bello, di specie così rara, possa aver fatto una fine del genere».
Solo una settimana fa, nell'oasi Lipu di Torrile ne erano state avvistate dodici. Una grande scoperta: è rarissimo vedere in Italia l'oca facciabianca. E a Parma non era davvero mai capitato. E chissà che fine avranno fatto le altre? La speranza è naturalmente quella che abbiamo ripreso la lunga strada verso «casa». Verso il mar Baltico, verso la Groenlandia o verso il mar glaciale Artico. «E' in quelle zone che l'oca facciabianca nidifica - spiega Mario Pedrelli, delegato provinciale della Lipu e protagonista principale del recupero dell'animale morto -. In particolare si tratta delle isole, che si trovano sopra la Norvegia, Spitzbergen, e la Nuova Zemlia, nel mar glaciale Artico: zone in cui la presenza umana è davvero scarsa. Si chiama Branta Leucopsis e fa parte del genere oca nera. E' alta circa 70 centimetri e si ciba di muschi, erbe, gamberetti o piccolissimi pesci. Un animale protetto da tutte le Convenzioni internazionali e in via d'estinzione». Un uccello bello nell'aspetto, con le piume nere: elegante e leggendario. E il fatto che sia morto a fucilate ha dell'incredibile: «Già in Italia è vietato cacciare qualsiasi tipo di oca - continua Pedrelli -. E l'oca facciabianca è riconoscibilissima: non è possibile confonderla con un'oca da cortile o con un'anitra, per cui il cacciatore sapeva benissimo che in quel momento stava commettendo un reato, per di più penale».

Le foto che seguono, come la precedente le ho trovate in rete, cercavo appunto una foto di facciabianca, nella ricerca ho trovato anche due esemplari di facciadaidiota.



Facciadaidiota 2 - sottospecie -

lunedì 3 gennaio 2011

La grande sfida


Salvezza e rilancio per le Aree Protette italiane
Manifesto Appello di San Rossore

I parchi naturali e le altre aree protette rappresentano oggi un baluardo contro le dilaganti aggressioni nei confronti del territorio e della biodiversità e costituiscono una speranza per il futuro perché sono straordinari laboratori dove si realizzano modelli di gestione che dimostrano come sia possibile coniugare conservazione e sviluppo e porre al centro il rapporto persona-natura.
La missione attuale che la storia affida alle aree protette è allora una missione strategica: contribuire a salvare la Terra dal rischio della catastrofe ambientale.Il ruolo che esse svolgono è quindi un ruolo di interesse generale.
Proprio in considerazione di tale ruolo cresce in tutto il mondo il numero delle aree naturali protette, s'innalza il livello della qualità degli interventi a livello sia nazionale che internazionale.
In Italia, invece, le aree protette hanno conosciuto negli ultimi anni una crisi gravissima che trova la sua causa fondamentale nella sottovalutazione e, a volte, addirittura, nella banalizzazione di quel ruolo, troppo spesso interpretato in chiave pseudoaziendalistica, e nel conseguente progressivo disinteresse istituzionale, culminato nel pesantissimo taglio dei finanziamenti pubblici effettuato dal Governo nel luglio 2010.Il sistema delle aree protette italiane rischia così di essere cancellato.

Pensato già dagli anni '10 del secolo scorso, avviato con la creazione dei primi parchi nazionali all'inizio degli anni '20 e progressivamente realizzato a partire dagli anni '70, questo sistema - costituito da un migliaio di aree protette (parchi nazionali e regionali, aree marine protette, riserve naturali , ecc.) che tutelano ben oltre quel 10% della superficie nazionale che nel 1980 aveva costituito una sfida lanciata dall'ambientalismo italiano per l'istituzione dei parchi - rappresenta una delle grandi conquiste di civiltà del nostro Paese e risponde alle indicazioni della legge Quadro, la 394 del 1991, una legge molto avanzata, approvata unanimemente dopo trent'anni di elaborazioni e di lotte. È un sistema che, nonostante diversi difetti e problemi, ha posto l'Italia perfettamente in linea con gli standard indicati dal dibattito internazionale, che ha consentito la conservazione di territori di eccezionale valore naturalistico e la protezione di una delle più ricche biodiversità esistenti in Europa, che ha permesso una serie di attività e di sperimentazioni vitali, che ha espresso inedite energie, nuove professionalità e un'eccezionale carica di innovazione e di fantasia.
I riconoscimenti che provengono da tutto il mondo testimoniano il valore del sistema e dei risultati che esso ha saputo raggiungere malgrado lo storico sottofinanziamento.
Il costo delle aree protette, infatti, incide in misura irrisoria sul bilancio dello Stato e delle Regioni: per fare un solo lampante esempio, i 23 parchi nazionali sono costati negli ultimi anni poco più di 50 milioni di euro l'anno, un costo che è pari a quello di appena 2 km di una delle devastanti autostrade in progettazione e che non è assolutamente confrontabile con i costi altissimi degli strumenti destinati non già alla difesa della natura, ma alla difesa militare.
Quei risultati si sono potuti ottenere grazie alla passione, all'abnegazione, alla capacità innovativa di un movimento che si è sviluppato attorno alle aree protette e che è composto da operatori, studiosi, gestori, associazioni, i quali per professionalità e spirito collaborativo rappresentano una grande ricchezza per tutto il Paese.
Adesso tutto rischia di essere vanificato.
Con l'ultimo taglio, che pesa drammaticamente sull'insieme delle aree protette, molte di esse - certamente i parchi nazionali che si sono visti dimezzare il fondo di dotazione - non potranno far fronte neanche a tutte le spese obbligatorie e sarà anche precluso l'accesso alle risorse aggiuntive e in particolare ai fondi comunitari.
Così nell'Anno internazionale della biodiversità, mentre gli organismi e gli accordi internazionali vedono nelle aree protette uno strumento fondamentale per fronteggiare la crisi ambientale e mentre lo stesso Piano italiano sulla biodiversità approvato nello scorso ottobre sottolinea l'importanza del loro ruolo, esse rischiano la paralisi e quel movimento rischia l'impotenza e la frustrazione.Questi rischi sono solo la punta di un iceberg, la spia di un generale disinteresse delle attuali classi dirigenti italiane, nazionali e regionali, nei confronti della conservazione della natura, la quale non sembra più rappresentare un problema, né una priorità, nemmeno un obiettivo proprio mentre la crisi ambientale precipita a livello planetario e nazionale.
Segno di questo disinteresse che sfocia sempre più spesso nell'insofferenza è anche la progressiva dismissione di qualsiasi politica organica delle aree protette da parte del Governo nazionale in primo luogo, ma anche da parte di molte Regioni.
La situazione è ancor più grave se si considera che le drammatiche conseguenze di questa crisi non riguardano solo il nostro Paese, poiché la conservazione della natura è valore universale e la tutela della biodiversità non si arresta certo ai confini nazionali, e inoltre incidono profondamente sui diritti delle future generazioni che devono oramai rappresentare la stella polare di ogni governo della cosa pubblica.Noi, amministratori, operatori e volontari dei parchi e delle altre aree protette, studiosi e progettisti, militanti del molteplice e vario associazionismo ambientalista, esponenti politici e sindacali, semplici cittadini chiamiamo l'opinione pubblica, i movimenti e le istituzioni italiane a una forte reazione non solo per la salvezza, ma anche e soprattutto per un grande rilancio del sistema delle aree protette italiane nello spirito della legge 394.
E' questa la nuova sfida che intendiamo lanciare proprio perché siamo convinti che la missione che oggi la storia affida ai parchi e alle altre aree protette sia quella di contribuire a salvare il nostro pianeta; che le funzioni di salvaguardia ambientale, di sviluppo economico e di progresso culturale proprie del sistema delle aree protette siano strategiche per il futuro del nostro Paese, un futuro sicuro, sostenibile, contraddistinto dai minimi requisiti di civiltà; perché siamo convinti che la società italiana voglia bene alle aree protette e perciò sappia rispondere positivamente e con entusiasmo alla nostra sfida; che quel movimento, malgrado le delusioni e la stanchezza del presente, contenga ancora in sé enormi potenzialità, materiali e immateriali, e abbia la forza e la volontà di reagire e di lottare. Noi intendiamo dare voce a questo movimento e nello stesso tempo vogliamo contribuire a delineare e approfondire gli elementi e gli obiettivi di una nuova politica per le aree protette.
Parco Regionale di San Rossore 6.12.2010
Firma l’appello