venerdì 1 febbraio 2008

El bertain

Partita ieri sera 31 gennaio a Taglio di Po – Rovigo - la quarta edizione di “Lezioni di Territorio” , dieci incontri, tre uscite per conoscere e “leggere” le meraviglie che circondano il Delta del Po.
Centotrenta presenti alla prima lezione di Chiara Crepaldi, etnografa adriese, deliziosa in tutti i sensi, anche nel cantare. Parlata e “fole” polesane da lei raccontate e illustrate, anche con un bellissimo video (non questo) realizzato con i ragazzi e interviste agli anziani del Delta, le strighe, la bosgata rossa, barba sucon suchela, ma soprattutto il dialetto veneto come propria e vera lingua. Tante, tante delle nostre parole infatti non trovano nessuna corrispondenza con l’italiano tanto da formare una lingua a se. Destravacà, el piron, el bosgato, desivio, el bocia (in ordine: comodamente disteso, forchetta, maiale, insipido, il bambino) non hanno per lo meno nessuna origine, come l’italiano, dal latino. Un invito quello di Chiara a mantenere, conservare e portare avanti il nostro dialetto in una sorta di bilinguismo. Il dialetto e la parlata veneta è considerata lingua insieme solo al napoletano, ara cà se dise de le volte ah!
Ed è il caso della parola bertain, (che parola strambalà) il baccalà, e per la canzone cantata ieri sera insieme a Chiara (vedi video) e per la ricetta gentilmente offerta dalla signora Franca de la casina nel Delta del Po .e per riallaciarmi al precedente post. Anche a Franca che saluto, piace parlare il dialetto, è dentro di noi come el Po, e la terra da lui creata, è impossibile staccarsi o dimenticarlo. Mi ricordo i “Né”?,i miei e nostri parenti che purtroppo hanno dovuto emigrare dopo l’alluvione del ’51, tornavano per le vacanze e parlavano in milanese, “Né l’hai visto il Luca com’è diventato grande, e il Gianni come l’è?”, avevano lasciato la campagna per la fabbrica, erano passati a due, a volte tre stipendi fissi, avevano lasciato la miseria del Delta e con essa anche la loro identità. Non avevano però dimenticato i buoni vecchi sapori, li chiamavamo infatti i “marturei”, genericamente le donnole o le faine, giusto perché come questi mustelidi dissanguavano il pollaio. Altri tempi, ora non è più così, chi cambia città per lavoro o altri motivi non vede l’ora de tornare a casa per parlare in dialetto e non perde mai la cadenza, possiamo dire di aver ritrovato la nostra identità, non voglio più sentir parlare di “poveri polesani” di “alluvionati “, basta, siamo i cittadini di una delle più belle terre d’Italia, il Delta del Po, e dàghe soto col dialeto e col bertain.



Ricetta del bertain con verdure gentilmente inviatemi dalla signora Franca
Dosi per 4 persone
Ho messo a bagno per non meno di 24 ore el bertain, el sarà sta un 650 grammi circa, lavandolo prima ben dal sale. Ho cambiato spesso l'acqua, soprattutto all'inizio. Passà el tempo, ho pulito e tagliato grossolanamente una cipolla rossa di tropea, una bella carota, due bei gambi di sedano, due patate tagliate a metà nel senso della lunghezza, una diesena d'pumiduriti pachino. Ho messo le verdure, tranne le patate, a rosolare per non più di dieci minuti nell'olio extra vergine d'oliva sapore delicato. Intanto ho fatto bollire il pesce ammollato in abbondante acqua con mezzo limone spremuto. L'ho portato ad ebollizione facendo bene attenzione a togliere il baccalà non appena l'acqua accennava a bollire e, sgocciolato, l'ho trasferito con le patate, nel tegame con le verdure, a finire lentamente la cottura. Se durante la cottura si asciuga troppo si aggiunge un po' d'acqua calda perché non attacchi. Il risultato è un baccalà alle verdure con sapore deicato come il merluzzo appena pescato. Si può gustare assieme alla polenta bianca se ben ristretto, oppure con un crostino di pane abbrustolito strofinato con l'aglio, se più brodoso. Una spolveratina di prezzemolo tritato fine ed un filino d'olio crudo ed il piatto è pronto! Mai salare mi raccomando! Dimenticavo: al bertain à'g'ho lassà la so pele che cusinando la s'ga desfà e la gà dà gusto al tocieto.

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